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John Cage

Spesso le invenzioni più folgoranti avvengono quasi per caso, o perlomeno si compiono partendo da cause banali. Quante volte abbiamo appreso di scienziati che hanno rivoluzionato la loro disciplina, ma che in realtà cercavano un'altra cosa. Il loro genio sta proprio nell'enorme duttilità di chi segue in un attimo la nuova pista, e la segue fino in fondo. Anche nella musica a volte succede così.

Prendiamo ad esempio John Cage: negli anni intorno alla Seconda Guerra Mondiale egli era soprattutto un brillante compositore e pianista dedito alla musica per la danza contemporanea. Avrebbe voluto scrivere musica per sé stesso al pianoforte e per un nutrito set di percussioni, ma i luoghi in cui si svolgevano gli spettacoli di danza erano troppo piccoli per soddisfare i suoi desideri: le percussioni non ci entravano! Così, come uno scienziato che fiuta una nuova pista, egli decise di risolvere il problema modificando il pianoforte e compendiando in esso i suoni di quelle percussioni che non riusciva a far entrare nei teatri.

Come si poteva intervenire su una machina così perfetta come il pianoforte? Come si poteva “profanare” il tempio, distorcendo quel suono che era sinonimo di poesia ed emozione? Cage non tentennò nemmeno un istante; armato di chiodi, puntine, gomme, pezzi di legno e di altri materiali lavorò direttamente sulle corde all'interno dello strumento. Ogni corda assume così un suono diverso (e anche l'altezza stessa dei suoni viene spesso interessata): è il pianoforte preparato. I puristi non si spaventino: la preparazione è reversibile, basta qualche minuto per sparecchiare e tornerà il fidato strumento che conosciamo. Viceversa la “preparazione” è lunga e meticolosa, almeno un paio d'ore di lavoro.

Il risultato è affascinante: una serie di nuovi colori il cui accostamento genera infinite combinazioni. Molti sono i rimandi all'oriente, al gamelan indonesiano o al sitar indiano. Difatti in quegli anni, ben prima che diventasse di moda, Cage era molto interessato al pensiero orientale, specialmente al Buddismo Zen. E in questa musica questo legame si sente molto, non solo nelle sonorità che scaturiscono dai vari materiali inseriti nella cordiera, ma anche dall'atmosfera contemplativa che i brani possiedono. C'è pace, c'è uno sguardo profondo, anche quando la musica è in pieno movimento.

Il ciclo di brani più significativo per pianoforte preparato è quello chiamato Sonate e Interludi, 20 brani. Curioso che il titolo rimandi al mondo accademico, ma non casuale. Innanzitutto c'è un'estrema geometria nella costruzione: un interludio ogni quattro sonate, tranne un interludio in più posto esattamente a metà ciclo, quindi una struttura chiasmica. Poi le sonate sono tutte divise in due parti, ciascuna con ritornello (come nelle sonate di Domenico Scarlatti, il grande clavicembalista del 1700). Pur nell'uniformità della costruzione ogni brano possiede il suo carattere ben definito, si pensi che nel pianoforte preparato la scelta delle note determina anche la scelta timbrica (è come se in orchestra affidassimo una melodia alla tromba invece che al violino). Alcune sonate spiccano per la genialità dell'invenzione: ad esempio la n.5, con il suo incedere implacabile e le scelta dei timbri più stranianti, ci ricorda le più riuscite “computer music” degli anni a venire. Sì perché in fondo questi suoni, che più manuali e artigianali non si può, spesso sembrano quelli elettronici che vengono creati seviziando sinusoidi e logaritmi.

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Un'ultima annotazione: all'inizio di questo scritto avevo parlato di rischio per la poesia. Nessun rischio, anzi, questa musica ne è intrisa. Piena di candore ed emozione. I puristi se ne faranno una ragione, del resto non siamo obbligati a scegliere tra Chopin e Cage, possiamo prenderli entrambi.

John Cage e il Bosone di Higgs di Nicola Cisternino

Non era certo immaginabile un evento 'sincronicistico' nell'accezione quantistica più esplicita - ovvero quella psicofisica elaborata da Jung e da Pauli - più rivelatore e casuale, per ricordarci quest'estate il centenario della nascita (ma anche della morte) di John Cage (Los Angeles 5 settembre 1912 - New York 12 agosto 1992). La scoperta del bosone di Higgs, senza scomodare espressioni ed orpelli linguistici del marketing scientifico25 ci ricorda che per John Cage, come lui stesso insistentemente ci sottolineò fino ai suoi ultimi giorni, riprendendo l'amato Ananda K. Coomaraswamy, l'arte cambia perché cambia il nostro concetto sul modo in cui opera la natura.

La prospettiva organica (quella ispirata da Thoreau e spazializzata nell'architettura da Wright per stare all'animus statunitense, di cui Cage fu fra i più fertili promotori ma che rimanda alla connessione 'sistemica' di Leonardo da Vinci) sposta completamente l'orecchio, oltre che lo sguardo, alle processualità (anche del suono come parte del tutto organico) della materia in quanto intelligenza prima che all'uomo si svela e dialoga, nel suo pieno senso relazionale, con le facoltà umane prime, ovvero quelle dell'intelligenza corticale e sistemica specifiche della nostra specie. Se il nostro modo di guardare sarà costituzionale della nostra visione, il nostro modo di ascoltare lo sarà della musica, così l'immagine della realtà sarà frutto della nostra mente.

Dall'uno al tutto, dall'infinitamente piccolo all'infinitamente grande passando innanzitutto per l'apertura (accoglienza) al diritto di tutti i suoni ad essere ascoltati' (J.C.) secondo nessi e relazioni principalmente casuali. L'apertura al caso nella puntuale differenziazione operata da Cage tra Alea (apertura agli infiniti possibili di qualsiasi evento in connessione spaziotemporale) da lui perseguita [...] Il silenzio non è acustico, è un cambiamento della mente, un mutare direzione. Dedicai la mia musica al silenzio. Il mio lavoro divenne un'esplorazione della non intenzione.

Per portarlo avanti fedelmente avevo sviluppato un complicato modo di comporre utilizzando le operazioni casuali dell'I-Ching, facendo sì che la mia responsabilità consistesse nel porre domande invece che nel fare scelte. [...] Il silenzio non esiste. Il silenzio è una diversa condizione mentale. Nel silenzio ci sono tutti i rumori che ci sono. L'ascolto con molta cura. In generale mi piace ascoltare, mi piace così tanto che non smetto mai.

Penso che a chiunque piaccia il suono ami il silenzio che è pieno di suoni. (John Cage) John Cage, 1992 (foto di Steven Speliotis) 88 finnegans e Improvvisazione (la riproposizione più o meno conscia di stereotipi e schemi ripetitivi), rappresenta quell'apertura, vero e proprio cambio di fase paradigmatico, che apre l'esperienza umana all'indeterminato, ovvero a quel processo che nella fisica quantistica (un mondo nel quale le particelle non sono sferette che si

25 Quale la definizione di 'particella di Dio', impropriamente utilizzata dal bailamme mediatico, potrebbe apparire anche blasfema, poiché non può certo una sola particella, per quanto fondamentale, rivendicare - a scapito della natura - tutta l'esclusiva paternità celeste.

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muovono, come vorrebbe continuare a farci credere una rappresentazione deterministica della materia, ma relazioni statistiche fra eventi e flussi energetici) Werner Heisemberg formulò nel suo celebre principio, d'indeterminazione appunto, che recita: «Nell'ambito della realtà le cui connessioni sono formulate dalla teoria quantistica, le leggi naturali non conducono quindi ad una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l'accadere (all'interno delle frequenze determinate per mezzo delle connessioni) è piuttosto rimesso al gioco del caso».

Ovvero, dovendo descrivere con termini classici il mondo atomico, possiamo farlo solo con l'interconnessione di coppie concettuali che non possono essere definite precisamente nella loro simultaneità. Quanto più insistiamo su una polarità della coppia, tanto più l'altra sarà incerta, indeterminata, per cui, a seguire, l'interconnessione quantistica si completa con la nozione di complementarietà di Niels Böhr in cui la manifestazione corpuscolare e ondulatoria, fino ad allora considerate contrapposte, della materia sono descrizioni complementari della stessa realtà. Principi fondanti dell'arte di Cage a cui egli vi arriva con la settima stella dell'immaginazione', come direbbe Paracelso, promuovendo la pratica della musica come disciplina per quietare la mente e disporla agli influssi divini', secondo l'insegnamento della musica indiana rivelatogli da Gita Sarabhai. “Quando viene formulato un giudizio di valore, questo non esiste al di fuori ma unicamente all'interno della mente che lo crea.

Quando si dice che qualcosa è buono e qualcos'altro non lo è, di fatto viene presa una decisione allo scopo di eliminare certe cose dall'esperienza. Secondo Suzuki, lo zen richiede che questo tipo di attività dell'Io diminuisca a favore di un incremento dell'attività che accetta il resto della creazione. Io decisi - piuttosto che intraprendere il percorso prescritto nella pratica formale del buddismo zen, cioè la postura a gambe incrociate, la respirazione, e tutto il resto - che la disciplina a me congeniale sarebbe stata quella a cui già mi dedicavo: fare musica.

E che l'avrei fatto con mezzi altrettanto rigorosi quanto la posizione a John Cage a Venezia (foto di Roberto Masotti) John Cage e David Tudor in Giappone, 1960 (John Cage Trust) 89 Sonopolis gambe incrociate, ovvero l'uso delle operazioni casuali e lo slittamento delle mie responsabilità dall'atto di fare delle scelte a quello di formulare delle domande ” (J. Cage). Se sui processi casuali ispirati all'IChing Cage ha parlato lungamente poiché, e non poteva essere altrimenti, altrettanto lungamente frainteso, molto si è rielaborato sul piano critico-musicale, dovendo riportare comunque in un orizzonte linguistico de-finito - quello dei suoni e della musica - processi e comportamenti' esecutivi (a cominciare proprio dalla pratica del concerto, ad esempio) dei nostri modelli sociali.

La coincidenza dell'interesse di Cage per il libro sapienziale cinese, originatosi dalla vicinanza a Daisetz Suzuki giunto tra il'46-47 alla Columbia University, corrisponde, per rimandare allo spunto 'sincronicistico' iniziale, all'interesse che lo stesso libro ricoprì nei processi di consapevolezza collettiva' archetipica iniziali che Carl Gustav Jung ritrovò nelle pratiche simboliche de Il segreto del fiore d'oro a cui seguì l'I-Ching, la cui edizione in occidente riporta una sua illuminante prefazione da noi tradotta nell'edizione Adelphi.

Lo spostamento paradigmatico dalla causalità degli eventi, in quanto rigida ideologia costituzionale dell'orizzonte deterministico nel quale continuiamo ancora ciecamente a

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muoverci e a pensare, a quello a-causale delle connessioni non locali - direbbe David Bohm con Krishnamurti - vede l'azione, oltre che l'opera sociale di Cage attraverso i suoni, votata a quei processi auto-generativi e di autogoverno fondati sulla ricerca di livelli di coerenza (e dunque compatibilità) interni ai sistemi che la fisica quantistica definisce come boatstrap, vocazione che in Cage assume i caratteri di un profondo e disciplinato rigore anarchico dell'individuo.

Vocazione ancor più profetica e illuminante nell'anno di questo suo centenario, poiché con il suo iconico e sonoro sorriso Cage ci invita ad uno scatto neuronale evolutivo che riporti la specie umana a rientrare nella sua attitudine prima, quella dell'esercizio e della disciplina mentale, ed evitare, per dirla con il titolo dato al suo diario ripreso da una storiella di Chuang- tzu, di continuare a pensare a: 'Come migliorare il mondo (Peggiorerai semplicemente le cose)'. [...] Ho i miei dubbi sulla comunicazione. Spesso una domanda o un'affermazione nel trasmettersi da una persona all'altra cambia completamente. [...] Ancora non abbiamo scoperto il modo giusto di comportarci. L'atteggiamento che funzionerà sarà caratterizzato dall'intelligenza, dall'umanità e dal rispetto della natura; non solo rispetto, ma comprensione e cooperazione con il modo in cui opera la natura.

Bisogna, in altre parole, pensare al mondo in cui viviamo come un posto non da distruggere ma con cui collaborare (J. Cage, 2012). * Sonopolis è il nome di un progetto di rete sulla musica contemporanea realizzato a Venezia dal 1990 al 2001, ideato e curato dall'autore in co- produzione tra l'Associazione Sonopolis e il Gran Teatro La Fenice ed altre istituzioni del territorio Omaggio di Luciano Berio a John Cage... lo pensavo intoccabile, come il rumore del vento, degli aeroplani, del mare, del traffico e degli uccelli, perché l'ho sempre amato e ammirato, e perché mi lega a lui una vasta e quasi soffocante quantità di ricordi, grandi e piccoli, pubblici e privati. Con John Cage muore un santo, un giocoliere, un eroe, un inventore, un umorista, muore cioè uno dei grandi uomini di questo secolo, che ha potuto combinare e sublimare con rigore e purezza i segnali e le impronte di percorsi tanto diversi. Sorridendo. Luciano Berio (da La Stampa del 14).

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